C’è un momento cruciale nella liturgia del rifugio: quando si apre la porta e si va. L’attimo prima eri un ospite, l’attimo dopo sei padrone del tuo destino. L’incantesimo svanisce in quell’attimo. Con uno schiaffo del vento sulla faccia si lasciano definitivamente alle spalle il non-spazio del rifugio, le pigre liturgie della sveglia, l’odore rassicurante del caffè, i rumori domestici delle stoviglie. Passare dall’intimità del rifugio alla vastità della montagna è come riprendersi la vita dopo una parentesi di non vita, o di vita affrancata dagli affanni, dalla fatica, dalla paura della morte. Le lancette ricominciano a correre e il cuore riprende a pulsare in cerca di una meta.
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