«Se in una limpida giornata di primavera si sale al Monte dei Cappuccini, o a Superga, o al Colle della Maddalena, l’arco alpino si manifesta come un semicerchio allargato – sono almeno cinquecento i chilometri di estensione – e uno sfondo apparentemente omogeneo, caratterizzato da alcuni picchi simbolici come il Monviso, il Rocciamelone, il Gran Paradiso (per chi lo sa riconoscere) e il Monte Rosa, altissimo e bianco, prima dell’orizzonte lombardo. Ma non è così. L’omogeneità e l’armonica compattezza che affascinano e forse rassicurano l’osservatore sono il frutto di un errore prospettico, nato da una rappresentazione storicamente falsa e geograficamente imperfetta. Non c’è nulla di compatto e ripetitivo nelle montagne piemontesi, se non il fatto che per la maggior parte esse separano l’Italia dalla Francia e dalla Svizzera (ma la storia ha dimostrato che anche le frontiere nazionali disegnate sugli spartiacque sono divisioni forzate e false) e delimitano, questo sì, una pianura tipicamente subalpina, abbracciata e protetta dalle sue montagne».
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