Quando Amé Gorret lascia il Delfinato e scavalca il Colle del Piccolo San Bernardo per fare ritorno nella sua amata Valle d’Aosta non ha ancora 50 anni, ma sa di essersi già messo alle spalle gli anni più fecondi della sua intensa vita di montanaro, prete, alpinista ed esploratore di contraddizioni.
E’ il 20 settembre del 1884. Di lì a poco sarà relegato per punizione nella remota cappellania di Saint Jacques des Allemands, al fondo della Val d’Ayas, dove non arrivava neppure la strada. Ci resterà per 21 lunghissimi anni.
“Je suis actuellement dans un délicieux petit nid alpestre, aux pieds du Massif du Monte Rose” ironizza in una lettera all’amico Ferrand alla vigilia del triste Natale del 1888, po aggiunge:”Je troveque les hommes ne sont pas ce qu’ils devraient être, ils ne cherchent qu’à se discréditer et à se nuire mutuellement”.
L’abbé Amé Gorret si autodefiniva un “domicilié en route”. Verso la metà della sua vita errante si era già messo alle spalle l’infanzia gioiosa a Valtournenche (dove era nato il 26 ottobre 1836) e sui pascoli di Cheneil (quando salì a piedi nudi il Grand Tournalin), il lungo apprendistato seminariale nella severa città di Aosta, la sofferta decisione di farsi prete, la prima parrocchia a Champorcher, le cacce allo stambecco con re Vittorio Emanuele II, la rocambolesca salita del Cervino con Jean-Antoine Carrel, il sereno vicariato di Cogne, l’opprimente confino di Valgrisenche (dove patì per due anni le angherie di un parroco ottuso) e tante altre mete, altri incarichi, altre illusioni, altre amarezze. Aveva imboccato la via dei vagabondi, costretto a cambiare continuamente destinazione, sballottato di sacrestia in sacrestia come un emarginato, braccato come un pensatore scomodo. Si mormora che amasse le donne oltre i confini sirituali di buon cristiano (e forse anche per questo il suo vescovo lo confinava nelle parrocchie più remote), ma soprattutto era uno spirito libero che odiava i compromessi, denunciava i vigliacchi e sapeva guardare un po’ più avanti degli altri. Soprattutto questo non gli è mai stato perdonato.
Amé Gorret era un montanaro che pensava da intellettuale e un intellettuale che agiva da montanaro. Amava la sua gente ed è stato un testimone eccezionale dell’epopea alpina dell’Ottocento. Nella sua preziosa autobiografia scopriamo storie incredibili come quella del dottor Grappein di Cogne, che ispirò un progetto socialista per il riscatto delle miniere di ferro, o quella di Jean-Antoine Carrel, la grande guida di Valtournenche che si misurò con Edward Whymper.
Durante i giorni cruciali della corsa alla Gran Becca, nel luglio del 1865, Gorret si trovava in prima fila al Breuil con Felice Giordano – l’inviato di Quintino Sella -, e come tutti si illuse che Carrel e compagni avessero piantato per primi la bandiera sulla vetta. Ma il 15 luglio fu chiaro che gli inglesi li avevano preceduti salendo per il versante di Zermatt. “Mon Pays était offensé dans son honneur, il allait perdre une fortune” – scrisse Gorret – “Eh bien donc!Vous renuncez au Mont Cervin, j’irai”. Allora anche Carrel si rimise in cammino e salirono insieme fin sotto la cima, dove il prete, che era l’uomo più forte della cordata, si sacrificò per la riuscita dell’impresa e trattenne a spalle la corda dei compagni nel vertiginoso intaglio di Zmutt. Aveva ragione lui: l’ascensione del Cervino assicurò alla Valtournenche un luminoso futuro turistico e fu uno dei motivi della scoperta e della valorizzazione ottocentesca della Valle d’Aosta.
Amé Gorret ha sempre amato le montagne, fin da quando, poco più che bambino, correva scalzo sulle creste del Grand Tournalin: probabilmente se non fosse entrato in seminario avrebbe fatto la guida alpina. Ma in una famiglia di guide e di preti, la sua intelligenza e la sua curiosità ne facevano un predestinato alla carriera ecclesiastica. E poi per un ragazzino delle alte valli era l’unico modo per conoscere un pezzo di mondo oltre i propri orizzonti.
Lo mandarono in collegio ad Aosta quando il buon parroco di Valtournenche, Monsieur Bore, gli aveva ormai insegnato tutto quello che conosceva e l’insaziabile ragazzino voleva saperne ancora più di lui. Ma erano poveri i montanari del secolo scorso e per imparare a scrivere Amé usava una pietra e un estratto di bacche alpine, risciacquando il sasso dopo ogni compito: “Le papier coûte, se salit vite et dure peu: il faut aviser et chercher à s’en passer. Nous finissons par découvrir une belle pierre calcaire à grain très fin et onctueux, et voilà plus d’une semaine à lui donner le poli voulu…Pour encre, une décoction de toutes les baies noires que Je rencontre dans les buissons. Une énorme plume d’aigle me dura tris ans”.
Ad Aosta il giovane Amé conobbe l’altra cultura, il latino, il greco, la storia, la letteratura classica, e quando finalmente entrò nell’austera biblioteca del seminario colma di dotti libri e di spessi trattati capì che quel santuario di scienza avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Studiò avidamente, con la stessa passione con la quale corteggiava e scalava le montagne.
Fu ordinato prete a Ivrea il 25 maggio 1861. Non aveva ancora 25 anni ma dovette assumersi subito un bel fardello di responsabilità. A quel tempo il prete era tutto per i montanari – maestro, consigliere, confessore, medico del corpo e dell’anima – , e Gorret divenne il padre di centinaia di valligiani bisognosi, indifesi, malnutriti. Invece si inimicò quasi tutti i potenti, i privilegiati, i “sapienti”, e lottò come un Don Chisciotte contro le invidie, i pregiudizi e le meschinità che incontrava per via. E così ogni volta che veniva trasferito di valle in valle per ordini superiori, smarriva per strada i suoi libri, i suoi ricordi, la sua memoria, e si trovava sempre un po’ più randagio e un po’ più solo. Si autodefinì “un ours de la montagne”: un orso, però, che non ha mai imparato a ballare come un cortigiano per il piacere degli uomini.
Era amico sincero del re Vittorio Emanuele ma si battè sempre per l’autonomia della Valle d’Aosta, la “petite patrie”, contro i tentativi di colonizzazione di Casa Savoia.
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Il suo errare un po’ per piacere e un po’ per forza tra i magici monti della Vallée gli permise di conoscere i luoghi meglio di ogni altro, tanto da redigerne la prima guida turistica (Bich e Gorret “Guide de la Vallée d’Aoste”, Torino 1876). Scrisse un’infinità di articoli sui giornali della valle, sul “Touriste” dell’amico Budden e sul Bollettino del Club Alpino Italiano; oltre all’alpinismo, alle montagne e alle bellezze naturali, affrontò senza reticenze i temi più scottanti del suo tempo: l’ignoranza, il gozzo, il cretinismo, le strade, la ferrovia, il progresso, l’alpinismo, il turismo. Aveva un’idea profetica del turismo alpino ed era in anticipo di un secolo sul suo tempo:
“Un viaggiatore che parta per la montagna lo fa perché cerca la montagna, e credo che rimarrebbe assai contrariato se vi ritrovasse la città che ha appena lasciato…
Credo all’anima della terra, quel sentimento che infine sa rendere tutta la poesia del viaggiare, questo atto altrimenti ridicolo, questa gara tra due piedi per passare sempre uno davanti all’altro”.
Gorret si battè sempre per la dignità dei montanari e lottò perché non si svendessero alle lusinghe del denaro e dello sviluppo, ma non fu mai profeta in patria e gli toccò invecchiare solo e abbandonato nell’esilio di Saint Jacques. Qualche volta riceveva le visite della regina Margherita, che lo capiva e gli voleva bene, altre volte valicava due, tre, quattro colli per recarsi e trovare suo padre o per partecipare ai congressi del Club alpino italiano. In una di queste traversate solitarie venne colpito da un ictus e perse la parole. Resistette con l’aiuto del vino, ma poi perse anche la vista e dovette scendere a Torino per essere operato.
All’alba del secolo ritornò a Saint Jacques, ma ormai non poteva più vivere a quelle altezze e lo ricoverarono nell’ospizio dei preti di Saint Pierre, dove imparò a camminare in piano.
Morì il 4 novembre del 1907, mentre il suo vecchio cuore sempre in tumulto ancora si batteva contro il folle progetto svizzero di un treno sulla Gran Becca:
“Maledizione! Patatras a tutti i miei vecchi entusiasmi!! Mi hanno informato di un progetto di cremagliera sul Monte Cervino. Orrore! La scienza si è inaridita fino al punto di distruggere, uccidendo la bellezza e la poesia? Orrore!”.
Morì nel dubbio, sognando un Cervino libero da ogni catena come soltanto lui, Carrel e Whymper, eletti tra gli eletti, avevano calcato all’alba dei tempi nuovi.
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