Luigi Carrel “il piccolo” è figlio di Jean-Joseph Carrel, il primo salitore della cresta del Furggen. Luigi nasce nel 1901, cresce in una Valtournenche povera di risorse ma ricca di montagne, diventa alpinista e guida negli anni Venti ed esprime la piena maturità dopo i trent’anni, nel decennio del sesto grado. Lo chiamano “Carrelino” perché è di bassa statura, ma ha la falcata e l’energia dei grandi alpinisti e dei grandi artisti. Viene dai Carrel di Cretaz e di Cheneil, la conca segreta sopra Valtournenche, e a Cheneil si rifugia a decantare la fatica delle alte quote, a scalare le creste del Grand Tournalin e a tenere sott’occhio il Cervino con il potente cannocchiale della pensione di famiglia. Cheneil è il balcone da cui Carrelino osserva, studia e spicca il volo.
Alla pensione Carrelino è ospite impeccabile, svelando un mestiere mai imparato in nessuna scuola alberghiera e una premura ereditata da misteriosi geni montanari. La grande scrittrice cuneese Lalla Romano lo descrive così:
«I modi erano di una cortesia da gran signore. Pensai che poteva averli appresi nella sua frequentazione di inglesi e di principi che aveva accompagnato nelle terre remote: Patagonia, Terra del Fuoco. Forse qualche sfumatura; ma la stoffa era sua. Parlava rado e lento, preciso, come certi medici famosi. C’era qualcosa di morbido, anche, di serpentino, di cauto, quale del resto era il suo muoversi silenzioso e leggero; così il suo strascicare le erre e quel tono interrogativo che in lui suonava, in definitiva, canzonatorio; e quella faccia di cuoio violaceo, un po’ grifagna, espressiva eppure astratta, impenetrabile come la maschera di un grande attore».
Luigi Carrel esprime la stessa signorilità in montagna, con i clienti. È un arrampicatore tenace ed elegante, la più grande guida del Cervino. Tenta la parete nord delle Grandes Jorasses e sale in prima ascensione la Nord ovest della Grivola, ma preferisce affinare la sua classe sulle cime della Valtournenche: le Grandes Murailles, la Dent d’Hérens e il Cervino, di cui diventa signore, specialista e protagonista indiscusso, avvalendosi di ottimi compagni-clienti come Enzo Benedetti, Carlo Taddei, Italo Muzio, Alfredo Perino, Gianni Albertini, Albert Deffeyes, don Luigi Maquignaz, e di ottimi compagni-guide come Marcello Carrel, Ferdinando Gaspard, Jean Pellissier, Giacomo Chiara e soprattutto Maurizio Bich.
Carrelino intende l’alpinismo come una professione ad alto contenuto di passione, scala con i clienti e lascia la sua impronta, sempre e dovunque, dalla concezione degli itinerari alla scelta dei tempi alla sequenza delle scalate. Ogni via nuova suggerisce altre fantasie e progetti. Il suo curriculum è semplicemente impressionante: prima salita delle pareti sud, est e ovest del Cervino, quest’ultima con uscita sul Pic Tyndall a causa del maltempo; primo superamento degli strapiombi di Furggen; prima salita della cresta Deffeyes sulla parete sud del Cervino; prima del Picco Muzio, sulla stessa parete; primo giro della Testa del Cervino; diretta della parete est e prima salita del crestone Albertini alla Dent d’Hérens; prime ascensioni sulle Grandes Murailles (Punta Giordano, Punta Lioy) e prima traversata integrale; infine le due spedizioni patagoniche con padre Alberto Maria De Agostini.
Carrelino è un “animale” da montagna, sempre pronto ad adattarsi ai tempi, ai compagni, alle stagioni e alle contingenze. Perfino alla sfortuna. Carrelino inventa e non si ripete mai. Nel 1931 guida una specie di commando (Carrel, Bich, Benedetti) sulla parete sud del Cervino, approfittando di una corta ma sicura giornata di ottobre. Nel settembre del 1932 conduce una numerosa cordata sulla parete est, stravaganza che gli costa ritardi e complicazioni alleviate da un gruppo allegro e scanzonato, nonostante il maltempo. Nel 1947 attacca con approccio spartano la severa parete ovest, dove si perde e si salva nel più completo isolamento con il giovane Carlo Taddei. Per la diretta di Furggen, nel 1942, lotta per otto ore sugli strapiombi terminali con la consapevolezza che la più difficile cresta del Cervino è una questione di famiglia oltre che un capitolo di storia alpinistica risalente a Mummery, Young, Rey, Piacenza e Jean-Joseph Carrel: suo padre.
Per un giudizio alpinistico sulle imprese di Carrelino, più che le difficoltà bisogna valutare lo stile: nella più pura tradizione occidentale, ma sempre proiettata un passo nel futuro, la guida è ampiamente padrona del terreno, anche su versanti smisurati e complessi come quelli del Cervino e in condizioni di stabilità precaria, tra canali battuti dalle frane, massi pericolanti, rovesci di roccia inchiodabili, scappatoie invisibili. Il piccolo Luigi si muove come un felino e sa scegliere la via giusta tra decine di altre vie possibili, correndo quando bisogna correre e temporeggiando quando bisogna avere la forza di aspettare. Racconta Alfredo Perino nel settembre del 1940, dopo la traversata completa delle Grandes Murailles: «Carrel cominciò a filare come un camoscio fra tutta quella serie di “gendarmi” e noi dietro, su e giù per certe pareti, certi spigoli che consumarono ben tre paia di guanti che dovevano proteggere le nostre povere mani, e poi anche un po’ di pelle».
Quattro anni prima Carrelino ha preso parte alla sua prima spedizione in Terra del Fuoco, che non era una regione nuova per le guide del Cervino. Nel lontano 1912-1913 Abele e Agostino Pession avevano già accompagnato il padre salesiano Alberto Maria De Agostini sulle nevi del Monte Olivia. Il 24 febbraio 1936, a Santa Cruz, lo stesso De Agostini testimonia di suo pugno che «la guida Luigi Carrel partecipò per due mesi ad un mio viaggio di esplorazione e di studio nella Cordigliera patagonica, ad occidente del Lago Viedma… Nelle poche giornate di calma e di sereno riuscimmo ad internarci nell’alta cordigliera e riconoscere un importante settore andino ricoperto da immensi ghiacciai e da elevate e complesse catene di monti. Venne pure completata l’esplorazione del Cerro Fitz Roy… Durante questi viaggi la guida Carrel dimostrò sempre buona volontà nel compimento del suo dovere e coadiuvò al buon esito delle ascensioni con le sue alte doti di destrezza, resistenza fisica e conoscenza dell’alta montagna».
Carrelino ritorna in Patagonia vent’anni dopo, nell’estate australe 1955-1956, con Luigi “Gino” Barmasse e Camillotto Pellissier. Le tre guide di Valtournenche partecipano a un’ambiziosa spedizione organizzata dal solito De Agostini, che nemmeno l’età riesce ad allontanare dalla tentazione dell’avventura. Le guide del Cervino salgono con successo il Monte Italia e Barmasse racconta:
«L’obiettivo della macchina fotografica è coperto di neve e in attesa che si asciughi bene do un fuggevole sguardo giù in basso: per 1000 metri l’occhio scorre inabissandosi lungo la parete a picco fino al ghiacciaio che discende in seraccate lungo una valle cupa, densa di mistero. Anche il muro sovrastante è pauroso e, ritornando ad appiccicarmi alla parete, mi arrampico sulla neve infida ripetendo le acrobazie dei compagni. Usciti dal diedro, superiamo ancora un tetto oltre il quale, dopo un facile pendio, ci appare improvvisamente la vetta. L’impeto della gioia è tumultuoso, frenetico. Lo leggo nello sguardo commosso di Carrel e di Pellissier; lo leggono nei miei occhi emozionati. Stanchi, coi segni della fatica sul volto imperlato di neve e sudore, tutti e tre affiancati percorriamo gli ultimi metri. La vetta del Monte Italia è raggiunta!».
La longevità di Carrelino gli consente di ripetere itinerari difficili fino a sessant’anni e oltre. Nel 1961, cinquant’anni dopo il padre Jean-Joseph, ripete la via Piacenza alla cresta di Furggen, evitando gli strapiombi. La foto di vetta lo ritrae sereno, con la pipa tra le labbra, praticamente a casa. Lo accompagna il figlio Antonio, che diventerà a sua volta una stimata guida del Cervino e presidente dell’Unione Internazionale Associazioni Guide Alpine.
Luigi Carrel muore a Valtournenche nel 1983.
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