Tradotto in spagnolo (Desnivel, 1993)
Un pugno di alpinisti, nati verso la metà del secolo, ha incontrato Gary Hemming sulle strade del mito. Un pugno di donne si è perso nei suoi occhi azzurri e una giornalista tesdarda e generosa è riuscita a raccontarci la sua storia. Qui si chiude la parabola ideale di Hemming su questa terra e qui comincia la sua vicenda di uomo, tra slanci e miserie, tra sogni e contraddizioni.
Il tempo di Hemming sembra predestinato alla dissacrazione, ai capelli fuori ordinanza, al sacrilegio dei Drus, perfino al gesto disperato del lago Jenny. E’ il tempo perfetto degli eroi, degli angeli maledetti. Ma è riduttivo leggere la vita di questo americano sbarcato in Europa come si indaga un simbolo, come si contempla un’icona. La mia generazione, che ha proiettato ambizioni e speranze sulle fessure del Fou e sugli strappi dei suoi jeans, ha conosciuto soltanto gli aspetti edulcorati del personaggio, senza rendergli giustizia. Le altre generazioni, probabilmente, non l’hanno conosciuto affatto.
I contemporanei non l’hanno amato, perché saliva dove loro non salivano e perché non rientrava nei ranghi, neppure per salvare due tedeschi inchiodati sulla parete del Drus nel piovoso agosto del 1966. L’ha aiutato Desmaison, fratello nella ribellione, e anche per questo è stato esautorato dalla Compagnia delle guide di Chamonix. Stranieri in casa d’altri, e fuoriclasse per di più! Immaginiamo cosa significhi per un montanaro savoiardo – casto, lavoratore e parsimonioso – che un beatnik d’oltre oceano – donnaiolo, squattrinato e disordinato – venisse a rubare le “prime” nella terra degli avi. Più grave, comunque, fu l’incomprensione degli alpinisti cittadini, che stentarono a recepire la tecnica californiana come la tecnica vincente. Spesso i loro giudizi si limitarono ai mezzi – nut, chiodi da ghiaccio, scale di fettuccia – senza comprendere che il segreto stava nell’approccio e non negli accessori.
I personaggi degli anni Sessanta parlavano la voce dei profeti e così Gary Hemming, profeta fuori patria, fu riscoperto a morte avvenuta. Divenne il paradigma della contestazione del granito. Stregati e accecati dal mito americano, i “nuovi” arrampicatori europei stimarono oltre misura la comunità alpinistica californiana, equivocandone i costumi e l’ideologia, ma Hemming restò un riferimento etereo, un modello dai contorni sfumati e scarsamente umani. Forse, inconsciamente (chi aveva più voglia di soffrire?), ci si dimenticò che era stato un alpinista e più che le eccezionali realizzazioni sul Monte Bianco (parete sud dell’Aiguille du Fou e “diretta americana” alla Ovest del Petit Dru)si idealizzò lo stile, il suo essere “contro”, sempre, sulle grandi montagne come nelle grandi città. Si idealizzo il suo abito da bohémien, contro il grigio conformismo degli alpinisti europei, la sua precarietà economica, contro la squallida sicurezza borghese, perfino la sua solitudine, contro l’ipocrita solidarietà degli integrati. Gary divenne una bandiera, sventolata da un vento di sinistra che portava un messaggio irresistibile e approssimato, carismatico e sbrigativo. Non ci fu spazio per l’uomo, ci si fermò al simbolo.
I posteri, cioè i giovani figli dell’arrampicata, sportiva, possono anche ignorare chi fu Gary Hemming e probabilmente non si spiegano che un tipo così abbia fatto palpitare i cuori ai loro padri.
Chi ha ripetuto la più classica delle sue vie, cioè la “diretta americana”, avrà forse memorizzato un nome senza volto, accanto a un’altra firma leggendaria: Royal Robbins. Dove i primi esploratori si avventuravano colmi di curiosità e di timore, dove Hemming e Robbins passarono con le ali dei rinnovatori, oggi si sale spesso con il conformismo dei ripetitori. Nella confusione è difficile riconoscere il lampo di intuizione che nel 1962 guidò i due americani verso il Bloc coincé.
Hemming è morto sette anni dopo, mentre in Europa scoppiava la rivoluzione. Se n’è andato con i primi fuochi, com’era nel suo stile, prima che il mondo iniziasse a cambiare. Perciò la sua figura resta indissolubilmente legata all’epoca in cui i sognatori avevano un piccolo posto ai margini della corrente. Chi li ascoltava li voleva così, distratti e solitari, fragili e incostanti, eroi per un giorno e sconfitti per una vita. Ma erano altri tempi.
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