Catalogo della mostra omonima, Museo della Permanente, Milano 24 gennaio – 19 marzo 2000
2000_La montagna descritta
Al tempo della Riforma le Alpi non erano altro che un incidente naturale nel cuore della vecchia Europa. Fino a tutto il Diciassettesimo secolo furono considerate una barriera possente e selvaggia che si alzava a turbare le linee ordinate delle colline e delle pianure, ostacolando la mano civilizzatrice dell’uomo e dei suoi disegni colonizzatori. La letteratura e le arti che per secoli cercarono l’armonia, l’equilibrio e la simmetria del paesaggio, rincorrendo l’antico mito dell’arcadia, rimossero quasi completamente l’esistenza delle Alpi perché, oltre a fare paura, non rispondevano al concetto classico del “bello”. La teologia protestante fondata da Martin Lutero le interpretò addirittura come prodotto del diluvio universale, raffigurazione del disordine e del male.
Nel 1671 Thomas Burnet si trova involontariamente al cospetto delle Alpi mentre accompagna il giovane conte Wiltshire lungo l’itinerario del Grand Tour. Le montagne lo atterriscono e generano un fiume di domande: «Non trovai pace finché non fui in grado di darmi una spiegazione accettabile di come quel disordine fosse entrato nella natura».
Premesso che «il mondo è immerso a tal punto nella stupidità e nel piacere dei sensi che si potrebbe raccontare che i monti crescono sulla terra come vesce o che sono prodotti da certi mostri, come le talpe producono i loro cumuli di terriccio, e la gente non avrebbe alcunché da obiettare» la spiegazione non poteva essere che una: il Dio che aveva fatto le Alpi non era un provvidenziale orologiaio, ma un sublime, anche se furibondo, drammaturgo. La Terra al tempo della creazione era una sorta di «uovo terrestre senza un segno né una frattura sul suo corpo, nessuna roccia, alcun monte», ma il diluvio inviato a lavare la malvagità del mondo aveva sconvolto per sempre quella purissima sfera primordiale, creando le montagne.
Il Settecento fu il secolo della grande svolta. Da pattumiera del mondo fisico, in pochi decenni le Alpi vengono promosse a oggetto delle indagini illuministe e a rifugio della spiritualità romantica. Da un lato gli scienziati iniziano una capillare opera di esplorazione del territorio alpino per fare luce sull’origine dei fossili, sulla nascita dei fiumi e sulle teorie leggendarie dei ghiacciai, risolvendo contemporaneamente molti problemi cartografici, dall’altro lato gli uomini d’arte e di lettere influenzati da Haller e da Rousseau cominciano a rovesciare la visione seicentesca delle Alpi, scoprendo nei luoghi malfamati del passato il segno del bello e del sublime. Le cascate e i ghiacciai alpestri diventano ricercate mete di escursioni, destando la meraviglia dei viaggiatori e impreziosendo con i loro “deliziosi orrori” i taccuini dei borghesi e degli artisti che hanno la ventura di addentrarsi nelle vallate.
(continua)
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