Atti del convegno nazionale, Torino, 1 dicembre 1995
La spettacolarizzazione dell’informazione è uno dei grandi problemi del nostro tempo e crea una perversa spirale di banalizzazioni e distorsioni da cui non è esente nessun giornale ad alta diffusione, per non parlare delle televisioni. Ogni giorno i temi dell’ambiente fanno le spese di questa spirale e solo l’avvenimento eclatante, catastrofico, o gonfiato ad arte, ottiene uno spazio sui grandi media.
Noi, mensili specializzati, siamo in qualche modo preservati da questa logica, o non ci siamo ancora fatti asservire, e per questo disponiamo di un osservatorio privilegiato sulle vere dinamiche dell’ambiente, dei parchi e dei loro frequentatori.
Ebbene, dal mio osservatorio ho notato una trasformazione positiva. Sarà perché la storia del grande alpinismo è agli sgoccioli, sarà perché l’exploit non fa più notizia, ma la secolare cultura dell’impresa, della battaglia, del sempre più difficile, del “no limits” per usare una parola ancora di moda, sta lasciando il posto a una coscienza del limite tra gli alpinisti, che scendendo dal loro aristocratico piedistallo si vanno accorgendo che i loro problemi sono cosa di tutti e che il loro giardino – la montagna – va diviso con gli escursionisti, i turisti e tutti i legittimi pretendenti a un giorno o una settimana di vacanza nella natura. Persiste – come sottolineava Moschini per i movimenti ambientalisti – una parcellizzazione assurda anche tra i praticanti la montagna, per cui chi fa roccia non dialoga con chi fa ghiaccio, o chi fa telemark non si intende con chi fa fondo, ma il loro terreno è lo stesso e alla fine si fa strada la consapevolezza che la difesa ambientale sia una necessità collettiva, e non più la miope salvaguardia del proprio tesoro esclusivo.
In altre parole sfuma l’idea dei “puri” e dei solitari da una parte, con le masse vocianti dall’altra, ma ogni “consumatore” del bene montagna sa di navigare sulla stessa identica barca. Da questa evoluzione, liberata dal record, dallo spettacolo e dalla prestazione a tutti i costi, forse scaturirà una figura nuova di alpinista in grado di proporre un messaggio di spoliazione e di rinuncia e capace di recuperare il fascino antico di un rapporto autentico con la natura. Messner è un esempio di questo cammino, che la scorsa estate lo ha portato con Pinelli sugli schermi di RAI1, dunque su un canale a grandissima diffusione, a raccontare le Alpi con l’occhio rispettoso dello studioso e dell’osservatore disarmato, non del classico conquistatore di cime. Sono convinto che le Alpi, i parchi e le montagne in genere possano riacquistare significato solo in quanto giardino d’Europa, a due passi dalle città inquinate e congestionate, e non più come luogo di prestazioni improbabili ad uso e consumo del mercato.
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